domenica 18 dicembre 2011

La storia di Leo Freud

Non ricordo esattamente quando Leo comparve per la prima volta nel nostro giardino. Suppergiù sei o sette anni fa. Lo rivedo rotolarsi nell'erba, con il suo corpo magrolino, dal pelo marrone striato di nero. Fu quello il mio primo incontro con il gatto dei nuovi vicini, che si erano da poco stabiliti nella casa nuova in fondo alla nostra via. Non conoscevo ancora il vero nome di quel piccolo nuovo arrivato, ma sapevo che il suo padrone era uno psichiatra. Così per me il gatto divenne Freud, e tutti cominciammo a chiamarlo così. Soltanto più tardi, dopo aver conosciuto i suoi padroni, appresi che il suo nome ufficiale era Leo.
Fro (come lo chiamo spesso) è un gatto magretto, specie d'estate, dall'andatura leggermente sbilenca, non si sa perché, e lo sguardo da gufo. A qualsiasi ora uno esca o rientri da casa, spesso se lo trova in giro, spuntato da chissà dove. Nessuna intemperia sembra avere effetto su di lui e sul suo vagabondare tra casa sua e la nostra. Qualche anno fa mia mamma lo vide davanti alla portafinestra, nel turbinio della neve, che con la sua tipica aria da povero gatto senza dimora (ha una casa bellissima e i suoi padroni lo adorano) guardava dentro, mentre intorno a lui il vento gelido e turbinante di fiocchi fischiava nel buio. Così mia mamma, pur non avendo una grande simpatia per lui, per ragioni che vedremo tra poco, lo fece entrare, gli diede qualcosa da mangiare e lo mise fuori dalla porta d'ingresso, depositandolo sullo zerbino  :)
Oppure ricordo una volta, d'estate, che guardando dalla finestra vidi Fro in cima ad una siepe, che in un modo o nell'altro riusciva a non sprofondare nel mezzo, con il mio gatto che lo osservava da sotto con aria di sufficienza.
E poi tutte le volte che riesce ad infilarsi in casa nostra, approfittando con una rapidità sconcertante di una porta lasciata socchiusa per un momento, e via, veloce come la luce su per le scale, diretto al piattino delle crocchette che c'è al piano di sopra. E dopo aver spazzato anche le briciole eccolo appallottolarsi su un letto, o sotto ad un piumone, dove lo si scopre anche dopo ore, magari grazie alla coda che spunta fuori.
Riccioli d'Oro, la bambina che, mentre i tre orsi erano fuori, si installava in casa loro e faceva tutti i suoi comodi, era niente rispetto a Fro. Che, oltre a mangiare e dormire a sbafo, ci ha anche spesso omaggiati di quei fantastici spruzzini che i gatti usano per marcare il territorio, rovinando la stufa e gli stipiti della portafinestra, e addirittura una parete della casa dei Playmobil che tengo ancora sopra un armadio dove lui si sarà arrampicato.
E non dimentichiamo gli agguati alle gambe nude, d'estate, attacchi improvvisi sferrati contemporaneamente sia con la bocca che con gli artigli sguainati di una zampa, così che ci si ritrova due bei graffi sanguinanti poco sopra la caviglia. E subito dopo ecco Fro rotolarsi innocente a pochi passi, tutto ronfante.
C'é da dire che avanzando con l'età questo aspetto é migliorato, ma rimane sempre un animale infido. Per quanto sia capace, allo stesso tempo, di appallottolarsi nella mia ombra, o sotto alla mia sedia sdraio, o sulle mie ginocchia mentre leggo un libro nei pomeriggi estivi, e rimanere con me a lungo, senza muoversi.
E poi quando, ai miei rientri da Milano, lo rivedo dopo diversi giorni, lui mi corre incontro e si strofina sulle mie gambe.
Malgrado i suoi raptus e la sua irrequietezza, voglio molto bene a Freud. Amo il suo spirito libero e indomito, la quintessenza della gattitudine. Dopo il mio gatto, il mio adorato Hitchocock, che è molto più una buona pasta, nel mio cuore c'é Fro.
Freud, che, giovanissimo micio, stava in un rifugio per animali vicino a Bellinzona, in Ticino, e che ogni notte riusciva ad evadere dal suo recinto e poi dalle mura della struttura, con spericolate acrobazie, per starsene in giro fino all'alba, e poi alle prime luci del mattino si faceva trovare davanti al portone, affamato.
E, se lo psichiatra e sua moglie non lo avessero adottato, sarebbe probabilmente stato soppresso per questa sua abitudine, così mi hanno raccontato.
Sono felice che il suo destino sia stato diverso, e che sia entrato nella mia vita, il mio piccolo gamaldo Fro.
Freud nella sua veste di mendicante fuori dalla portafinestra

4 commenti:

  1. Sono bellissimi: il tuo racconto e, ovviamente, Freud.
    Ha un musetto che definire espressivo è poco, un musetto che dice tutto. Come dire, quello che combina, la sua indole, ce l'ha scritta pari pari in quello sguardo dagli occhi socchiusi. Un vero caso lombrosiano. :-D
    Fantastico! ;-)

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  2. Grazie :)
    Io definisco Freud anche "l'ospite equivoco", come il personaggio dell'omonimo bellissimo libro illustrato di Edward Gorey, dove uno strano animale con delle scarpe da tennis si installa nella villa di una famiglia vittoriana e gliene combina di tutti i colori

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  3. Sono sempre più convinta che non siamo noi a scieglierli ma bensì loro.
    Io ne sono l'esempio vivente visto che sono "diventata" dei miei 9 gatti...
    Lunga vita a tutti gli A N I M A li

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