mercoledì 29 febbraio 2012

Di vivisezione, del macello più moderno d'Europa, e dei cani ucraini

Questo post per segnalare tre fatti, di cui probabilmente sarete a conoscenza, ma di cui non è mai abbastanza parlare.
Il primo, nel quale mi sono imbattuta l'altro giorno, è il progetto di costruire nei pressi di Brescia, precisamente a Manerbio, un mega macello, così definito proprio perché, qualora venisse edificato, avrà il triste primato di essere il più grande e moderno d'Europa. Begli aggettivi per un luogo di morte. Luogo in cui, secondo le stime, verranno ammazzati, ad esempio, 12.000 maiali al giorno.
Mi auguro di cuore che la gente del posto non voglia avere sul proprio territorio un'attività basata sulla morte di tanti esseri viventi.

Coordinamento contro il mega macello


Passerà probabilmente, temo, molto tempo, prima che si comincino a chiudere i macelli esistenti. Nel frattempo sarebbe già un passo avanti evitare di costruirne altri.
Per gli animali, prima di tutto, e per il rispetto che dobbiamo loro in quanto esseri viventi. E poi per l'uomo, perché chiunque lavori a lungo in un posto del genere perderà inevitabilmente una parte della propria umanità e dei propri sentimenti migliori.


Altro fatto, di cui si parla molto. 900 macachi sono in arrivo dalla Cina, a gruppi di 150 per volta suppergiù, per essere destinati alla Harlan Italy. La Harlan si occupa di rivendere gli animali ai laboratori di vivisezione, ma effettua anche esperimenti per conto di terzi, oltre a "produrre" animali geneticamente modificati.
Le sedi della Harlan presenti in Italia sono da molto tempo nel mirino, a causa delle condizioni in cui sono stati trovati gli animali in loro possesso,  come documentato da attivisti per i diritti degli animali che effettuarono un blitz nella sede di Corezzana nel 2006.
Tra l'altro, non disporrebbero affatto dello spazio che per legge dovrebbe essere garantito nello specifico alle scimmie.

http://www.firmiamo.it/fermiamo-harlan--fermiamo-la-vivisezione-

Io aggiungo, come faccio sempre, che, oltre alle battaglie giustissime e assolutamente condivisibili come questa o quella per i beagles di Green Hill, occorre impegnarsi anche per dare voce a tutti gli altri animali prigionieri nei laboratori di ricerca. Cani meticci, gatti, conigli, topolini, maiali, e qualsiasi altra creatura che ha avuto la sventura di essere destinata alla vivisezione.
Non dimentichiamoli mai, nessuno di loro.

Terzo fatto, molto noto anche questo. La strage di cani randagi in Ucraina, per "ripulire" le strade in vista degli Europei di calcio. Malgrado le molte proteste pervenute al governo ucraino, il rastrellamento continua e ogni giorno centinaia di cani, già sventurati per la loro condizione di randagi (condizione, lo ricordo, alla cui origine vi è l'Uomo e la sua incapacità o scarsa voglia di gestire questi animali), vengono catturati e ammazzati.
Su questo argomento vi indirizzo ad un bell'articolo del giovane filosofo Leonardo Caffo, pubblicato sul blog Asinus Novus.

Il pianto dei cani morti


Tre situazioni tra le innumerevoli dello stesso genere che coinvolgono i destini di milioni di animali. Speriamo che almeno queste, intanto, possano risolversi.

domenica 26 febbraio 2012

Eppur la nostra idea è solo idea d'amor

Fin da piccola ho amato gli animali e ho sofferto per le crudeltà inflitte loro dall'Uomo vuoi per una presunta necessità, o per ingordigia,  o per divertimento, o per puro sadismo.
Ho sempre avuto la sensazione che qualcosa non quadrasse in questo sistematico utilizzare due pesi e due misure, una per gli umani e una diversa per tutte le altre specie, come se gli animali fossero al mondo soprattutto per soddisfare i nostri bisogni e noi potessimo legittimamente decidere ed usufruire della loro vita e della loro morte.
Crescendo ho inevitabilmente appreso sempre maggiori dettagli terribili sulla sorte riservata a tanti e tanti animali. Come se avessi aperto una porta su una realtà parallela fatta di sistematici soprusi e orrori, in cui milioni di esseri viventi sono condannati a perdersi, mentre noi, appartenenti alla specie dominante, viviamo tranquilli e sicuri nelle nostre confortevoli case, liberi di decidere della nostra esistenza e di muoverci a nostro piacimento e di dedicarci alle nostre attività quotidiane.
E loro? Imprigionati e costretti a vivere in condizioni innaturali; ridotti a macchine da spremere il più possibile e poi, una volta esaurite, da eliminare senza tanti complimenti; fatti nascere con l'unico scopo di venire uccisi e smembrati per finire sulle nostre tavole e nel nostro stomaco; catturati, strappati al loro habitat sempre per finire nella nostra padella; considerati modelli su cui sperimentare qualsiasi cosa; condannati a torture folcloristiche travestite da irrinunciabili tradizioni; privati delle loro candide piume o della loro bella pelliccia con metodi brutali; rimossi dalla nostra coscienza.
Non vi sono giustificazioni a tutto questo. Perché gli animali, tutti gli animali, non soltanto il nostro cane o il nostro gatto, sono esseri senzienti. Non sono oggetti inanimati. Sono creature di carne e di sangue, come noi. Hanno un cervello, come noi. Provano emozioni, come noi. Ognuno di loro, sia anche il più piccolo pesce del mare o una minuscola laboriosa formichina, è un essere unico e irripetibile proprio come ogni individuo umano.
Soltanto, gli animali non possono parlare. O meglio, non con il nostro linguaggio. Questo li rende estremamente indifesi. Penso che chiunque possieda un minimo di sensibilità dovrebbe impegnarsi a parlare per loro, dando voce alla sofferenza e alla rassegnazione che traspaiono dai loro occhi stanchi.
"Il compito più alto dell'uomo è sottrarre gli animali alla crudeltà", diceva Emile Zola.
Chi più di un animale è inerme e in nostra balia?

Alla luce di tutto ciò, l'antispecista è un fanatico invasato? Una persona che ingigantisce un problema, che tra l'altro spesso non pare neanche essere tale? Un sognatore che spreca solo il proprio tempo? Per certe persone parrebbe di sì.
Io allora chiedo a tutti, che cosa c'è di sbagliato nel desiderare una vita degna di questo nome per gli animali sfruttati, e nel battersi perché questo avvenga? Può mai essere eccessivo lo sforzo per affrancare una vita dalla sofferenza e dalla schiavitù, per portare sollievo e un po' di serenità là dove c'è stata sempre una fredda noncuranza? E' un reato voler costruire una società diversa, basata sul rispetto per ogni vita, umana e animale?
O ancora, è un criminale un attivista che libera degli animali da un laboratorio di ricerca o da un allevamento intensivo, per salvarli dal dolore e dalla morte? Certo, compiendo questo atto va contro la legge. Forse però c'è da chiedersi se criminale non sia piuttosto una legge che consente la vivisezione e l'allevamento di animali a scopi alimentari.
La violenza di cui vengono talvolta accusati gli antispecisti non appartiene piuttosto alla società specista, dove sistematicamente, ogni giorno, milioni di animali nel mondo vengono ammazzati nei macelli? O dove si esalta la "poesia" di una tradizione barbara come la corrida? O dove sull'altare della scienza si sacrificano innumerevoli vite?
Non vi sono reali giustificazioni a tutto questo, per quanto si cerchino. Soltanto scuse. Soltanto una triste abitudine. Perché fare del male, infliggere ad un essere senziente sofferenza fisica e psichica, é sempre sbagliato, e non occorre essere un genio per rendersene conto. Giusto un po' di compassione e di buon senso, che chiunque non sia davvero inaridito e cieco può trovare dentro di sè.





Il titolo di questo post è una frase tratta dalla celebre canzone anarchica Addio Lugano bella.

                                    " ed è per voi sfruttati, per voi lavoratori,
                                     che siamo incatenati al par dei malfattori
                                     eppur la nostra idea è solo idea d'amor
                                      eppur la nostra idea è solo idea d'amor"

                       
Parole che mi ricordano molto il modo in cui troppo spesso vengono percepiti gli antispecisti e frainteso il loro pensiero.








 

martedì 21 febbraio 2012

Noi e i nostri animali, un amore di Qui e d'Altrove

Chiunque abbia avuto il privilegio di dividere la propria vita con un animale, di qualsiasi specie, penso non possa dubitare che l'anima (intesa come quell'essenza misteriosa e impalpabile che rende ognuno ciò che è) non sia appannaggio esclusivo degli esseri umani.
Ogni animale ha come noi il proprio carattere, le proprie personali abitudini, il proprio modo di fare. Come noi ama più certe cose e meno altre. Come noi prova emozioni, e nel sonno può sognare. Come noi sa volere bene. Anzi, molto spesso sa volere bene più di noi, libero da tutte le nostre complicazioni.
Il legame tra un animale e il proprio umano è spesso un bene assoluto, scevro di tutte le incomprensioni e i dissapori che costellano anche il miglior rapporto tra esseri umani.
Due anime che si congiungono, al di là della differenza di specie.
Ho sempre pensato che, se esistesse qualcosa al di là di questa vita, certamente tra coloro che vorrei ritrovare ci sarebbero gli animali che ho avuto con me su questa terra.
Mi viene in mente a questo proposito che il gamaldo gatto Freud (per chi non lo conoscesse vi invito a leggere il post La Storia di Leo Freud ), mio carissimo amico felino, riuscirebbe probabilmente ad evadere anche dalle porte del cielo, come faceva da quelle del gattile, ma spero che vedendomi arrivare si ripresenterebbe al cancello :-)

Questo preambolo per introdurre il tema vero e proprio di questo post, per il quale mi appoggio su un interessante e commovente articolo che ho trovato qualche anno fa su una rivista animalista svizzera, e scritto da Alika Lindbergh (pittrice, animalista, e discendente di quel Lindbergh che compì la prima traversata in volo dell'Oceano Atlantico).
Riporto alcuni episodi narrati da Alika in quel suo scritto intitolato: "Le anime degli animali ci attendono nell'aldilà".

Belgio, 1944. Alika ha quattordici anni. Con altre persone sta cercando di liberare dalle macerie causate da un bombardamento americano i feriti sepolti là sotto. Molti sono soldati tedeschi, per lo più ragazzini come lei. Ad un certo punto trova uno di loro, giovanissimo, che dapprima le sembra morto. E' pallidissimo e i suoi capelli sono incrostati di sangue. Alika gli tocca la spalla e di colpo la vita ritorna negli occhi del giovane soldato tedesco. Per un istante guarda Alika, poi il suo sguardo si fissa su un punto oltre la ragazzina, più in alto.
Il giovane sorride, di un sorriso radioso che gli illumina tutto il viso, mentre i suoi occhi continuano a guardare oltre le spalle di Alika.
Poi, dolcemente, sussurra: "Janosch, mein Pferd...Du bist nicht tot?" (Janosch, cavallo mio...Sei vivo?)
E muore, con un'espressione serena sul suo giovane viso.
Forse quel ragazzo prima della guerra era stato un giovane contadino, e Janosch era stato il suo buon compagno di lavoro. O forse il giovane era il figlio di qualche ricco proprietario terriero prussiano, che possedeva una scuderia di purosangue? Alika non può saperlo. Ma sa che un cavallo è stato importante nella vita del giovane soldato, e che lui lo ha sinceramente amato. E il loro legame è stato così profondo che lo spirito di quell'animale è venuto ad accogliere sulla soglia della morte l'anima del suo giovane amico.

1965. Alika è ospite di un'amica. Non lo sa ancora, ma la stanza a lei riservata è quella dove passava molto tempo il gatto della casa, Karoun, morto da diversi anni. Durante la notte, spenta la luce, Alika sente grattare alla porta, che si apre un poco. Un rumore felpato di zampe sul parquet. Alika sente un gatto balzare sul letto e percepisce i baffi dell'animale sulla sua guancia, prima che le si acciambelli accanto. Pensa naturalmente che sia la gatta persiana della casa, ma qualcosa la spinge ad accendere la luce. La porta della stanza è chiusa, e non c'è alcun gatto con lei.
La mattina seguente decide di non parlarne alla sua amica, persona piuttosto bizzarra e eccitabile, ma si confida piuttosto con la cameriera, una donna concreta con i piedi ben piantati per terra. La quale non si mostra affatto sorpresa, e le racconta che Karoun, morto dieci anni prima, "infesta" ancora l'appartamento. La gatta attuale spesso sembra percepirne la presenza, aggirando con cura l'angolo assolato di palquet dove il gattone era solito dormire, o mettendosi a fissare quel punto con i suoi occhi gialli.
Karoun, a causa della dedizione a fumare oppio della sua padrona, aveva sofferto di brutte crisi d'asma. Durante queste crisi veniva messo nella stanza che ora occupa Alika.

E' la sera della morte del nonno di Alika. Lei è vicino al suo letto, e lo vede compiere più volte un gesto incomprensibile agli altri. Il vecchio, sorridendo, protende le braccia verso l'alto, come tante volte aveva fatto per permettere alla scimmietta Soulimie, morta da anni, di venire ad aggrapparsi al suo collo.
Alika sa che Soulimie é nella stanza, che il nonno la vede, e che l'anima della scimmietta accompagnerà quella dell'uomo oltre la soglia.

Dice Alika Lindbergh: "Molti casi e testimonianze indicano che le emozioni degli animali, i loro pensieri e la loro volontà persistono oltre il velo che separa la vita dalla morte. E che cosa sarebbe questa presenza disincarnata, se non ciò che chiamiamo anima?"

Io mi ricordo una sera di alcuni anni fa. L'ultimo dei miei gerbilli era morto quel pomeriggio e lo avevamo sepolto sotto all'aiuola fiorita in giardino.
Ho spento la luce e mi sono messa a letto. Ho udito distintamente delle zampette correre sul pavimento. Dopo un po' ho acceso la lampada e dato una bella occhiata in giro. Che un topolino si fosse introdotto in casa? Mi sembrava improbabile, in ogni caso non era mai accaduto, e non è molto semplice. Non udivo più niente di strano. Spenta di nuovo la luce sono tornata a letto. Subito il piccolo trapestio di quelle che erano indubitabilmente zampette è ricominciato. Non c'era nulla di minaccioso in quel rumore, comunque. Sono rimasta ad ascoltare. Ho udito anche un trafficare di manine e dentini contro la cesta di vimini ai piedi del letto. Dopo un certo tempo è tornato il silenzio e mi sono addormentata.
Non ne avrò mai la certezza, ma sento che il mio piccolo Dimitrj era venuto a fare un ultimo giro nella stanza dove aveva trascorso tante ore di corse e giochi, prima di lasciarsi per sempre alle spalle la sua esistenza terrena.

In conclusione, gli animali che popolano la nostra vita non sono forse tra le creature che più amiamo in questo mondo, e che più ci amano? Chi meglio di loro potrà venire a guidarci, alla fine, se davvero qualcosa oltre esiste? Cosa che io non ritengo estremamente probabile, ma possibile e consolante da pensare. E sono certa, questo sì, che il legame tra anime che sono state tanto vicine non potrà mai essere sciolto.






Ancora una cosa, ultima ma non ultima. Se un luogo migliore al di là di questo mondo esiste, vorrei che vi trovassero la serenità che qui non hanno mai conosciuto le anime di tutti gli animali sfruttati e uccisi dalla crudeltà dell'Uomo. Milioni e milioni di spiriti innocenti che non hanno conosciuto né amore né compassione. Prati di soffice erba verde punteggiata di fiori, un cielo azzurro e il bel calore del sole, finalmente affrancati dalla paura e dal dolore.







venerdì 10 febbraio 2012

Guardare oltre Green Hill

L'indignazione suscitata in tante persone dall'allevamento Green Hill, tristemente nota fabbrica di beagles destinati ai laboratori di vivisezione, non può che fare piacere a chi come me ha tanto a cuore la questione animale.
Mi piacerebbe però che la gente provasse altrettanta indignazione e altrettanto dolore anche nei confronti di tutti gli altri animali che hanno la sventura di nascere in uno stabulario e di essere destinati alla ricerca, farmaceutica o cosmetica.
Il beagle ci tocca particolarmente, perché è un cane, dunque l'animale da compagnia per eccellenza, e immagino che tanti padroni di cani trovino terribile pensare che questi animali così importanti per loro, veri compagni di vita, vengano sottoposti alla vivisezione.
Purtroppo, come ben sappiamo, moltissime altre specie vengono destinate agli esperimenti.
Cani meticci, gatti, conigli, roditori di vario tipo (a me particolarmente cari, avendone avuti parecchi), come i ratti, i topolini, i gerbilli, i porcellini d'India, e poi le scimmie (pare, se non erro, che in Inghilterra si sia giunti all'abolizione degli esperimenti sui primati, o che si sia prossimi a farlo; benissimo, ma perché loro sì e gli altri animali no? Forse perché i primati ci ricordano troppo noi stessi?), maiali, e qualsiasi altro animale all'occorrenza.
Credo che, tra i molti che piangono per i beagles di Green Hill, troverei certamente diverse persone che non avrebbero lo stesso sentimento per un ratto o un topolino, o per un maiale. Magari mi sbaglio, ma penso che sia così. Perché certi animali, ancor una volta, sono più degni di altri della nostra compassione.
Spero con tutto il cuore che Green Hill chiuda i battenti. Sarebbe un luogo d'orrore in meno in questo mondo. Ma spero altrettanto che si facciano presidi e si combatta anche per chiudere tutti gli altri stabulari, tutte le altre fabbriche di animali, a qualunque specie appartengano.

Vi segnalo un bellissimo articolo pubblicato sulla pagina http://www.vitadacani.org/index.php?page=dl4, sul sito dell'associazione Vitadacani, di Arese, che tra le altre cose si occupa, quando possibile, di riscattare animali che hanno subito sperimentazioni e di cercare di dare loro una vita degna di essere vissuta. In questo articolo si parla dei beagles che sono riusciti a portare fuori da un laboratorio.


domenica 5 febbraio 2012

La vita dei gatti - prima parte -

Da bambina non mi fidavo dei gatti. Forse perché quello che conoscevo meglio era il gatto rosso dei miei nonni, il cui passatempo preferito era appostarsi tra i cespugli e tendere agguati agli umani che gli passavano davanti. Direi che mi faceva un po' paura e cercavo di evitare di stargli troppo vicino.
Oltre a questo, avendo sempre avuto un certo spirito da bastian contrario, ero fiera di dire che io preferivo i piccoli roditori, come i criceti e i porcellini d'India che ho avuto per tutta la mia infanzia, ai gatti che invece erano tra gli animali preferiti della maggior parte della gente.
Avrei tanto voluto un cane, ma i miei genitori furono irremovibili. Anche quando ero ormai al liceo e ci trasferimmo nella nuova casa con giardino, di cani non ne vollero sentir parlare. Allora ripiegai su un gatto e, benché prima che io nascessi avessero avuto un'esperienza poco felice con una gattina bellissima ma abbastanza selvaggia e problematica che avevano dovuto dare via perché in appartamento proprio non si adattava a stare, mia mamma e mio papà si dissero d'accordo e così andammo al vicino rifugio per animali e lì trovammo il nostro Hitch.
Dal suo arrivo tutti i miei pregiudizi sui gatti svanirono. Fui immediatamente conquistata da quel piccolo essere bianco e grigio, che certamente non aveva nulla di infido o minaccioso.
Da quel giorno di quasi quindici anni fa ho avuto modo di conoscere diversi altri mici che popolano questa zona, e di osservare le loro diverse personalità e il modo di relazionarsi gli uni con gli altri, come in una piccola società felina.

Oggi il mio adorato Hitchcock è ormai il più anziano tra i gatti di mia conoscenza, a fine maggio compirà quindici anni (e gli dedicherò senz'altro un post tutto per lui). Ma quando lo portammo a casa i vecchietti erano i tre gatti di mia zia, che abita adiacente a noi. C'era Tito, che era davvero vecchietto, poi il grasso Micky, un gattone rosso reso ancora più ciccione dalle cure al cortisone che aveva dovuto fare, e infine Pocket, trasferitosi di sua volontà a casa di mia zia qualche anno prima, dopo, pare, divergenze con il ragazzino figlio dei suoi padroni.
Quando Hitch cominciò ad uscire, divenne molto amico di un gattino che aveva circa la sua età, un micio bianco e nero con cui scompariva per ore, con mia grande preoccupazione. Li rivedo scendere insieme lungo la strada, di ritorno da qualche scorribanda nei giorni d'estate. Addirittura Hitch lo portava in casa, al piano di sopra, e insieme si facevano un'allegra scorpacciata di crocchette. Insomma, erano grandi amici.
Poi, crescendo, si vede che ognuno prese la sua strada, e sono anni che non vedo più quel gatto. Immagino che stia sempre nelle immediate vicinanze di casa sua, proprio come fa Hitch ora.
Poi entrò in scena Blankic. In realtà aveva un altro nome, che non ricordo, ma io lo chiamavo così. Blankic era un gattone bianco di proprietà di una coppia di nostri vicini, che si vede avevano una passione per gli animali bianchi, perché avevano anche un grosso cane dello stesso colore. Pare che Blankic fosse molto legato a questo animale, che purtroppo ad un certo punto morì e il povero micio ne fu abbastanza distrutto.
Cominciò a frequentare il nostro giardino, e all'inizio questo mi faceva piacere, lo accarezzavo eccetera. Però Blankic era piuttosto scontroso con Hitch, il quale ne aveva un certo timore. Inoltre si faceva sempre più invadente, e passava molto più tempo da noi che a casa sua, specialmente quando a curare le bambine dei vicini c'era la nonna, una stramba signora che lo apostrofava spesso con "tu, bestiaccia"  :)
Mi ricordo che certe mattine quando si scendeva di sotto trovavamo Blankic (che entrava dalla portafinestra che a quel tempo lasciavamo socchiusa fin dal mattino molto presto per lasciare uscire il nostro gatto) piazzato sulla sedia Ikea nella sala, con un'aria truce come a dire, provateci a farmi sloggiare.
Insomma, per quanto uno amasse gli animali, Blankic non era proprio il massimo, e si faceva sempre più prepotente e scorbutico nei confronti del povero Hitch.
Fortunatamente la sua famiglia si trasferì e non lo vedemmo più.

Blankic era do poco partito per altri lidi, che comparve Freud, il gamaldo gatto dei nuovi vicini di cui ho già scritto in un precedente post. Io e Fro, malgrado la sua natura piuttosto infida e la sua passione per gli agguati alle gambe, diventammo subito amici, e anche Hitch accettò di buon grado la sua presenza, benché a volte abbiano qualche piccolo battibecco. Se è vero che Freud ha sempre rispettato il mio gatto, per una questione di maggiore anzianità, suppongo, penso che allo stesso tempo nutra una certa gelosia nei suoi confronti, perché sotto sotto non gli dispiacerebbe prendere il suo posto in casa nostra.
Così capita che d'estate il mio povero Hitch trovi il suo posto preferito sotto alla siepe o nell'aiuola già occupato da Fro. Oppure che se lo trovi sulla sedia sdraio sotto al castagno.
Per non parlare di tutto le crocchette che Freud si è sbafato dopo essersi introdotto in casa.
Tutto sommato però i due sono amici, e Hitch lo saluta sempre con un "frrrr" quando lo vede fuori dalla porta finestra.

L'ultimo capitolo di questo primo post sui gatti della mia vita riguarda un periodo che io definirei quello del fast food.
Negli anni giovanili di Hitch lo lasciavamo uscire molto presto al mattino, anche alle 04.00
Così mia mamma, quando lui andava da lei a toccarle la testa con la zampetta, si alzava, poveraccia, scendeva le scale e apriva la porta finestra quel tanto da permettere al gatto di uscire nel buio, e poi se ne tornava a letto. Questo compito spettava quasi sempre a lei, dato che mio papà non si svegliava assolutamente e da me Hitch non veniva, lui andava sempre e solo da mia mamma, alla quale è da sempre molto legato.
Freud, naturalmente, capì subito che il rumore del motore delle tapparelle significava via libera a casa nostra. Così spesso mentre Hitch usciva lui entrava, delle volte facendo una bella soffiata a mia mamma, e ovviamente ripuliva qualsiasi piattino in cui trovasse delle crocchette. Dopodiché delle volte veniva a dormire con me, oppure usciva nuovamente.
Dopo un po' Hich rientrava, trovava il piatto vuoto e naturalmente veniva da me o da mia mamma a reclamare la sua parte. Tutto ciò ancora prima dell'alba.
Ad un certo punto si aggiunse anche un piccolo gatto nero, che credo abiti in una delle case lungo la strada. Mi ricordo che una volta sentii i miei gerbilli, la cui gabbia di notte stava nello studio, che battevano il piedino. Lo fanno quando avvertono un pericolo. Così mi alzai e trovai il gattino nero ricurvo sulla loro gabbia, con il naso incollato alla grata.
Mentre Hitch e Freud ormai non gettavano neanche più un'occhiata agli animaletti, per il pestifero micio nero rappresentavano un'interessante novità.
Insomma, nelle prime ore del mattino c'era un gran viavai in casa nostra. Chi saliva per le scale, chi scendeva, chi sgranocchiava crocchette, chi molestava i poveri gerbilli, chi reclamava da mangiare, chi occupava abusivamente il mio letto.
Tutto perché non volevamo chiudere fuori per ore Hitch nella notte. Essendo poi una casa con poche porte, era impossibile impedire ai gatti di salire di sopra.
Finché decidemmo che Hitchie sarebbe uscito a orari più ragionevoli, e che la portafinestra sarebbe rimasta chiusa, e così facciamo da allora.
Due aneddoti ancora su quel periodo.
Ricordo un mattino all'alba in cui scesi a vedere che cosa fossero i rumori che provenivano dal piano di sotto. Scoprii Hitch e Freud tutti presi dal cercare di acchiappare una grossa farfalla notturna. Mi sembrarono due ragazzini che giocano insieme alla playstation.
Oppure una volta che, mentre versavo un po' di crocchette nel piattino di sopra, Hitchie, esasperato dalla concorrenza di Fro, gli diede due sberle proprio sul naso, che Freud incassò senza battere ciglio.
O ancora di un buio mattino in cui feci uscire Hitch nelle tenebre e, neanche il tempo di risalire le scale, udii delle urla veramente raccapriccianti, e pensai, santo cielo, lo hanno brancato!
Sapevo che tra gli alberi vicini vivevano delle faine (o animali simili) che facevano strage di ghiri di cui regolarmente trovavamo i resti sotto alla terrazza, dei veri serial killers.
Così aprii la porta di ingresso per chiamare Hitch, il quale comunque aveva già fatto il giro della casa e stava correndo su per le scale verso l'entrata, le orecchie ritte e uno sguardo allarmato.
Una volta in casa voleva comunque uscire in terrazza a indagare, come stava facendo Fro, che appollaiato sul parapetto protendeva il collo verso il buio da cui si erano levate quelle grida tremende.

Termina qui questo primo post sulla vita dei gatti, il seguito prossimamente.

Hitch, Freud e il gatto nero

mercoledì 1 febbraio 2012

Dell'orrore che non vogliamo vedere

Ieri allo studio abbiamo dovuto fotografare una composizione di vaschette di salumi per una pagina pubblicitaria di un salumificio abbastanza noto.
Credo che se dipendesse da me non accetterei più lavori che implicano la commercializzazione di prodotti derivati da animali uccisi, ma siccome lo studio non è mio mi devo adeguare.
Così il giorno prima di quello previsto per la foto è arrivato uno dei titolari del salumificio a portarci un po' di vaschette vuote da riempire per bene e una scatola piena di prodotti, fette di salame, coppa, prosciutto.
Io ero sul mezzanino a fare un lavoro al computer, e ogni tanto gettavo giù un'occhiata al tizio dei salumi. Pensavo che lo avrei anche trovato tutto sommato simpatico se non avessi saputo che cosa fa per vivere. Me ne sono rimasta sul mio mezzanino, perché se fossi scesa non ero sicura di riuscire a tenere per me la mia idea su coloro che allevano esseri viventi con lo scopo di farli finire affettati in una vaschetta.
Sinceramente non riesco a comprendere come possano considerare questa attività un business come un altro. O come possono dormire tranquilli e vivere come se niente fosse, e promuovere allegramente i loro prodotti, quando in realtà sulla coscienza hanno migliaia e migliaia di vite.
Mi chiedo se non ci sia mai un momento, in qualche sogno, magari, in cui affiora almeno un vago senso di colpa. Ma temo che accada raramente.
D'altronde, nella mentalità della maggior parte delle persone sfruttare gli animali e disporre delle loro vite è assolutamente normale, perché così si è sempre fatto. Ancora una volta, la terribile abitudine all'orrore che impregna la nostra società e condiziona così tragicamente il nostro rapporto con gli animali.
Io stessa, che da sempre avverto la profonda ingiustizia di tutto ciò, mangio ancora, di tanto in tanto, per pura golosità, il salmone, pur sapendo che questo povero pesce non è certo inferiore, ad esempio, ad una mucca o ad un maiale, che invece non mangio più.
Dunque neppure io sfuggo del tutto allo specismo, pur essendo determinata a migliorare sempre più.

Tornando nello specifico ai salumifici, mi vengono in mente anche i vari spot che passano in tv, in cui si esaltano ovviamente le qualità di una fetta di prosciutto o di qualsiasi altro affettato, mostrando la loro leggerezza, il loro aspetto invitante e soffice. Tanto che uno quasi non pensa affatto che quel pezzetto di carne apparteneva al corpo di un essere vivente, un roseo maiale, spesso, che aveva una personalità, che quando dormiva sognava, che avrà avuto a suo modo degli amici tra i suoi simili.
Spot simili ci anestetizzano, ci illudono che dietro a quei prodotti non ci sia nessun orrore, nessuna morte violenta.
Anche questo contribuisce a tenere i nostri occhi ben chiusi sulla terribile realtà dello sfruttamento animale.
Chissà se, in un temo lontano luminoso futuro sapremo costruire un rapporto finalmente nuovo con le altre specie, per farci perdonare, almeno in parte, di tutto ciò che per così tanto tempo abbiamo fatto loro.


Un lavoro dell'artista Jasmine Jean che ben rappresenta l'orrore dello sfruttamento animale