sabato 15 ottobre 2011

Sulla sperimentazione animale

La sperimentazione animale é un esempio lampante del nostro antropocentrismo. Forti della nostra convinzione di essere al di sopra di ogni altra specie, e che tutto possa essere piegato ai nostri bisogni, non ci facciamo scrupolo di utilizzare gli animali per testare farmaci e terapie, o sostanze da impiegare nell'industria cosmetica, o in molti prodotti di uso quotidiano.
Ci sentiamo autorizzati a farlo, dal momento che gli animali, nella comune concezione antropocentrica, sono in fondo poco più che oggetti creati per nostro uso e consumo, certamente esseri inferiori.
La prima volta che venni a sapere dell'esistenza di queste pratiche (che, da amante degli animali quale sono sempre stata, non avrei mai potuto immaginare) avevo circa nove anni. Mi trovavo a scuola, e la maestra ci aveva portati in biblioteca per un'ora di lettura. Io stavo appunto leggendo, il libro era La Notte dei Desideri, di Michael Ende, e ad un certo punto mi imbattei in una parola sconosciuta: vivisezione.
Andai dalla maestra a chiedere che cosa significasse e con mio grande orrore lei mi spiegò di che si trattava, in sostanza il sezionare animali vivi per vedere come erano fatti, e, in senso più tristemente moderno, utilizzarli per testare medicinali. Io le chiesi: "Ma non succede più, oggi, vero?"
Naturalmente lei dovette rispondermi che succedeva ancora.
Me ne tornai al mio posto piuttosto sconvolta. Che si potesse fare questo ad un animale mi sembrava pazzesco e di una crudeltà quale non avevo mai incontrato fino ad allora. Purtroppo, crescendo, avrei appreso molte altre cose di pari orrore riguardo allo sfruttamento animale.
Da allora penso spesso ai poveri animali rinchiusi nei laboratori di ricerca. Avendo sempre avuto roditori, e conoscendo quindi bene l'indole pacifica e spesso timida di questi amici pelosi, trovo particolarmente ripugnante che dei ricercatori accecati dalla fede nella scienza possano praticare su di loro praticamente qualsiasi cosa.
Per molto tempo si è detto che la sperimentazione animale è necessaria, perché grazie ad essa la scienza progredisce e vengono trovate nuove cure da trasferire all'uomo. Il sacrificio di milioni di vite animali, questo a quanto pare era assolutamente irrilevante, un fatto marginale e niente più.
Oggi se non altro molti movimenti portano avanti la causa dell'abolizione della vivisezione, una pratica inutile e obsoleta, tenuta in vita da grandi interessi economici e da una crudele abitudine, ma soprattutto una pratica assolutamente non etica. Quale diritto abbiamo, infatti, di sacrificare delle vite facendoci forti del fatto che si tratta di creature non umane? E' giusto che venga versato del sangue perché altri ne possano, forse, beneficiare? E ancora, è accettabile l'idea di procurare dolore, malattie indotte, e, nella maggior parte dei casi, morte, come se gli animali non provassero la sofferenza fisica e psichica proprio come la patiamo noi? Tutto questo deriva da una profonda incapacità di empatia, derivata, come dicevo più sopra, dal nostro immenso senso di superiorità e dal conseguente disprezzo verso creature altre.
A me invece capita di pensare, e se ci fossi io al posto di quegli animali? Se ci fossi io immobilizzata su un lettino di metallo mentre qualcuno mi inietta strane sostanze o pratica tagli nella mia pelle, o mi versa liquidi brucianti negli occhi, e altre cose orribili? Dev'essere spaventoso. Spaventoso e incomprensibile. Voglio riportare, a questo proposito, un testo toccante tratto da un episodio di Dylan Dog (che come forse saprete non è solo un indagatore dell'incubo, ma anche un animalista e un vegetariano convinto), La Collina dei Conigli. In questa storia, che ha come sfondo il tema della vivisezione, si racconta di un gruppo di conigli che ritornano dalla morte per vendicarsi dei loro aguzzini. Nel testo che segue è Dylan a parlare, ma si fa portavoce delle sofferenze di quegli animali perduti


"Il fatto è che certe notti quelle visioni ritornano. 
A volte sogno che mi aprono il cervello e ci ficcano dentro degli elettrodi. Il perché non lo so, ma è un test, e dicono che questo giustifica tutto. Altre volte mi tengono le palpebre spalancate, e versano collirio nei miei occhi fino a che non me li sento in fiamme. Vorrei urlare, ma spalanco la bocca e non ne esce alcun suono, perché hanno reciso le mie corde vocali. Altre volte sogno che mi fracassano le ossa una ad una, e dopo mi fanno ingoiare delle pillole. Così sperimentano gli antidolorifici.
In una altro sogno mi procurano delle ustioni per testare dei farmaci. In un altro ancora mi iniettano delle sostanze che accartocciano la mia pelle ricoprendola di rughe...E poi mi provocano un tumore che cresce fino a diventare più grande della mia testa, e mi mantengono in vita per studiarlo.
Ma il vero incubo arriva al risveglio, quando il sogno svanisce e la paura rimane. E forse non è nemmeno la paura la cosa peggiore, ma la rabbia tremenda che mi invade le viscere come se volesse farmi esplodere... E mi sento sempre più uguale ad un animale e sempre meno simile a un uomo... allora chiudo gli occhi e mi sforzo di immaginare un tunnel caldo e sicuro nel grembo della terra, che corre insinuandosi fra intrichi di radici e mi porta lontano...verso la luce e il calore del sole, in un luogo dove il vento fa frusciare i fili d'erba...Lontano dalla paura e dal dolore, dalla crudeltà senza senso di quegli esseri che si dicono umani"  Dylan Dog n. 263, La Collina dei Conigli, testi Michele Medda


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