martedì 30 dicembre 2014

Di storioni e di pensieri

Alla radio svizzera oggi ho sentito un servizio di quelli che in men che non si dica mi mettono davvero di cattivo umore.
La presentazione del servizio, nei titoli, era a grandi linee il seguente: in questo periodo di festività, con relativi pranzi e cene speciali, vi parliamo di una prelibatezza che dà un tocco in più alla vostra tavola, ovvero il caviale. Ma non caviale russo, caviale svizzero, prodotto in un ridente paesino delle Alpi elvetiche, di cui ho già dimenticato il nome.
Già dal lancio del servizio mi sono corrucciata.
Perché se c'è una cosa che proprio mi suscita rabbia e orrore insieme sono questi "reportages" realizzati sul cibo di origine animale. In genere chi realizza questi servizi di tutto parla tranne che della questione etica. Parla di ricadute positive sull'economia locale, di chilometri zero, magari, o di slow food, o della tradizione e della genuinità, ma non considera proprio tutti gli sventurati animali che ci lasciano la pelle. Come se fosse un'inezia, un fatto talmente normale e ineluttabile che neanche merita di essere menzionato.
Questo piccolo reportage non ha fatto eccezione. Ho ascoltato la descrizione delle vasche piene di storioni, che nuotano lì dentro prima di essere uccisi, e il freddo resoconto delle fasi del loro allevamento, fino alla fase finale, quando gli sventurati pesci vengono sventrati in modo da appropriarsi delle loro preziose uova, che devono essere di un colore ben preciso eccetera eccetera.
Così, come fossero frutti che una volta maturi devono essere colti.
Peccato che il caviale non cresce dalla terra o su un albero, ma nella pancia di un essere vivente chiamato storione.
Avevo già letto tempo fa un racconto analogo sull'allevamento degli storioni, e anche quella volta avevo trovato particolarmente orribile questa pratica.
Posto che ogni forma di allevamento con fine alimentare è orribile in sé, questi poveri pesci mi fanno davvero una grandissima pena.
Detto da una che ogni tanto si mangia del salmone è ipocrita, probabilmente, anzi, senza probabilmente, ma la mia compassione è sincera.

E' scoraggiante constatare le innumerevoli forme dello sfruttamento animale, ognuna con la propria dose di crudeltà e di indifferenza per i milioni di esseri viventi nati per essere sacrificati.
In questi ultimi tempi ho trascurato questo mio piccolo blog, a causa della mia cronica incostanza, sì, ma anche e soprattutto perché non volevo più pensare a tutto l'orrore in cui sono immersi tanti e tanti animali, ogni giorno, ovunque.
E' dolce rifugiarsi nel proprio mondo, dove non c'è posto per questa assurda crudeltà, e dove tutti gli animali possono vivere la loro esistenza in modo sereno.
Ma poi capita di sentire notizie come quella di cui ho parlato in questo post, e ti rendi conto che là fuori l'orrore è sempre lì. E almeno un pensiero, a tutte quelle vite perdute, lo devi.
Io non sono un'attivista sul campo, perché il pensiero di essere a contatto con quella crudeltà mi uccide, e immagino che questo sia un mio limite.
Non sono neanche una persona d'azione, suppongo, né particolarmente dinamica.
Anche per questo ho sempre amato scrivere, e sognare.
Vorrei che queste "armi" bastassero, ma so che non è così.
Eppure, nel mio piccolo, sono le mie armi.

A tutti voi che passate da qui, miei lettori e naviganti approdati casualmente su questa riva, auguro un sereno 2015. Con l'augurio che ognuno di noi, nel proprio piccolo, coltivi il prezioso fiore dell'empatia, che possa diffondere sempre più lontano il proprio dolce profumo.