mercoledì 25 gennaio 2012

"Eliminate loro gli occhi...

...tagliate via la testa ed eliminate le interiora e le sacche d'inchiostro. Dopo averli accuratamente lavati sotto acqua corrente, staccate ai calamari i tentacoli e tritateli con una mezzaluna".
E' un estratto di una ricetta per preparare i calamari ripieni, in cui mi sono imbattuta scansionando delle pellicole di foto di food per l'archivio dello studio.
Mi chiedo talvolta che cosa penserebbe un alieno giunto sulla Terra da un lontano pianeta pacifico, vedendo le nostre abitudini culinarie. Leggendo ricette come questa che ho riportato, e come centinaia di altre in cui viene spiegato, ad esempio, come disossare un coniglio, o come bollire vivi dei crostacei, o come cucinare un fegato o altri organi di animali.
Penso che tutto questo, che nella maggior parte di noi non suscita alcuna particolare emozione, perché dopotutto è la tradizione, è l'abitudine, farebbe inorridire il nostro alieno gentile (certo, molte altre cose che accadono sul nostro pianeta gli farebbero lo stesso effetto).
Che razza di barbari sono, questi terrestri, si chiederebbe, che con tanta noncuranza e metodica abitudine allevano creature innocenti in condizioni spesso terribili, le ammazzano e sezionano i loro corpi per venderli poi come cibo?

Quell'imperativo, "eliminate gli occhi", è semplicemente orribile.
Gli occhi, attraverso cui spesso traspare la nostra essenza. Anche l'anima degli animali è leggibile nei loro occhi. Pensate allo sguardo dei cani, dei gatti, degli animali da fattoria, ma anche dei piccoli roditori e io credo anche delle creature del mare, se uno si prendesse la briga di guardarli bene.
Mi vengono in mente gli occhi di tutti gli animali macellati.
Dove vengono buttati? Chi può svolgere un compito simile e dirsi umano?
Quegli occhi ormai ciechi, che tanto orrore hanno dovuto vedere e nei quali nessuno ha mai voluto riconoscere un'anima.

mercoledì 18 gennaio 2012

Di una sera lontana

Quando avevo circa otto anni andai con i miei genitori in vacanza in Bretagna, nel nord della Francia, una regione bellissima che mi è rimasta nel cuore.
Un giorno raccolsi conchiglie su una di quelle spiagge rese immense dalla marea che si ritira, quando l'Atlantico è lontano all'orizzonte, prima che la legge immutabile della Natura lo riconduca verso la terra.
Più tardi, nel piccolo bungalow vicino al mare, scoprii tra le conchiglie raccolte un minuscolo granchietto. Sarà stato grande come la falange delle mie dita di bambina. Era così piccolo, perfetto e indifeso.
Dopo cena prendemmo il sentiero tra le dune che conduceva alla spiaggia. Era quel momento in cui l'aria e ogni cosa assumono una tonalità blu, quando non è ancora notte ma il giorno è già scivolato via. Non c'era nessuno tranne noi. Davanti ai nostri occhi l'immenso Atlantico lambiva la spiaggia.
Tenevo il minuscolo granchio chiuso nella mano.
Eravamo lì per riconsegnarlo al mare, ma per un momento pensai che non avrei avuto il coraggio di lasciarlo in quelle fredde acque scure.
Poi mi tolsi le scarpe e andai incontro alle onde, finché l'acqua mi arrivò alle ginocchia. Augurai al piccolo granchio che non gli accadesse nulla di male, che crescesse forte e che nessuno lo catturasse, poi mi chinai per appoggiarlo sotto la superficie dell'acqua, tra la sabbia sotto al mare.
Tornai dai miei genitori e mia mamma mi asciugò le gambe e i piedi gelati.
 Sapevo che il posto del granchio era il mare, che era nato per viverci, proprio come io ero nata per vivere sulla terraferma. Eppure avevo paura per lui, quel piccolo essere che per poche ore era stato con me e che avevo tenuto nella mia mano.
Forse a causa di quella paura per la sua sorte, e certamente per quell'addio, le lacrime mi rigavano silenziose le guance mentre sulla spiaggia solitaria scendeva la notte e tornavamo al bungalow.
Non ho mai dimenticato quella sera.
Chissà se il mio piccolo amico trovò la sua strada nell'Atlantico, come io ho forse faticosamente trovato la mia sulla terra.

domenica 15 gennaio 2012

Piccole considerazioni sull'expo cinofila di Milano

Ieri sono stata all'esposizione cinofila che si tiene ogni anno alla fiera di Milano.
Non ero mai stata ad un evento del genere, pur essendo da sempre interessata al mondo canino e alle caratteristiche delle varie razze.
Ho passato una piacevole mattinata girovagando tra la moltitudine di cani in attesa di presentarsi sui ring per il giudizio. Alcuni se ne stavano tranquilli nei loro box o sdraiatati ai piedi dei padroni, o si lasciavano pazientemente pettinare e acconciare per l'imminente competizione, come il chow-chow che vedete nella foto qui sotto. Altri, più bellicosi, scatenavano vere e proprie cagnare quando un altro cane aveva la malaugurata idea di avvicinare il naso al loro box. I vaporosi volpini erano naturalmente in prima linea in questo tipo di attività.
Ho assistito ad alcune gare di agility, dove, oltre a dispiacermi per l'eliminazione di alcuni binomi (così vengono definiti il cane e il suo conduttore in questa disciplina) ho anche notato quanto effettivamente cane e padrone si assomiglino fisicamente.
Cosa che ho notato anche durante l'esibizione di alcuni rappresentanti dell'Unità Cinofila di Soccorso, dove ogni cane aveva qualcosa del proprio umano, e viceversa. Sentiti applausi per questi cani che tanto aiuto ci danno durante le catastrofi e per la ricerca di persone scomparse.
Ho avuto anche modo di vedere in carne e ossa uno dei cani per me più belli, il Cirneco dell'Etna, un cane tipo levriero e dall'aspetto egizio. Ogni razza comunque è interessante e rappresenta un universo da scoprire.

Questa fiera mi ha anche però fatto pensare, ancora una volta, a quanto il nostro mondo sia pieno di contraddizioni. Mentre all'expo cinofila si celebrano le razze più apprezzate, conosciute e "nobili", e si vendono un sacco di accessori e cibi per i quattrozampe fortunati, i canili sono pieni di cani abbandonati, o randagi dalla nascita, ognuno con la sua storia di sofferenza sulle spalle. Molti di loro moriranno dietro le sbarre di un freddo box, senza aver conosciuto il calore di una famiglia. Tanti cani vivono randagi, in Italia soprattutto nel sud, finendo spesso vittime della stupida crudeltà di alcuni esponenti del genere umano.
Sempre in tema di esposizioni di animali, la scorsa settimana se ne è tenuta una di conigli, in Svizzera. In tv ho visto i dolci, batuffolosi coniglietti, con il loro bel pelo lucido e quell'adorabile musino. Bellissimo.
Ma come dimenticare che migliaia e migliaia di loro fratelli vengono invece ammazzati per finire nel nostro piatto o vengono destinati ai laboratori di ricerca?
Strano mondo, il nostro, in cui tanto arbitrariamente decidiamo chi può vivere ed essere coccolato e amato e chi invece è destinato a morire per nostra mano, escluso da qualsiasi sentimento di affetto.

Ben vengano le celebrazioni dei nostri meravigliosi amici animali e delle loro molte varietà, ma che non ci si dimentichi di tutti gli altri, e che non si cada nel terribile errore di credere che vi siano animali di serie A e animali di serie B.

Cirneco dell'Etna e il batuffoloso Chow Chow

lunedì 2 gennaio 2012

Fantasmi di epidemie e di animali perduti

L'altro giorno alla radio ho sentito che in Cina sarebbe ricomparsa l'aviaria. Naturalmente la prima cosa fatta è stata abbattere diciassettemila polli. Una cifra impressionante, un numero altissimo di vite soppresse. Ma tanto, chi se ne importa, sono soltanto polli, e per di più a rischio. E poi sarebbero morti comunque per finire nelle pance dei cinesi, dunque una notizia così può essere data senza alcuna emozione, se non, forse, una vaga preoccupazione per un'eventuale epidemia tra noi esseri umani.
Tutto ciò mi ha riportato alla mente l'epoca della vacca pazza. Di quei giorni mi sono rimaste impresse le immagini dei roghi dove, in Inghilterra, si bruciavano i corpi delle mucche abbattute. Alte fiamme che si levavano nella notte, come le anime tormentate di quegli infelici animali, ammazzati a migliaia, in quello che mi pareva un vero isterismo collettivo.
Naturalmente non ricordo una parola, né un pensiero, su quelle sventurate creature in quanto esseri viventi.
Al telegiornale sentivo tante cifre, vedevo quei fuochi divampare nella campagna, ogni tanto l'immagine di una mucca malata. Ma nessuno che spendesse una parola sulla sorte di quegli animali. Come fossero, una volta di più, soltanto oggetti difettosi di cui disfarsi. Come fu anni dopo per i polli, quando il fantasma dell'aviaria si diffuse nel mondo, come potrebbe essere oggi, di nuovo. Non valevano e non valgono nulla le vite di questi animali già sventurati, già destinati alla morte per nostra mano.
Una sventura nella sventura per chi è stato tenuto nella prigionia e nello sfruttamento per tutta la sua breve vita.
Ancora una volta, nessuna compassione, nessuna empatia. Nessun senso di colpa per essere stati noi, con il nostro vergognoso sistema di allevamento, con i nostri orribili mangimi, a provocare tutto.
Non ho mai dimenticato quelle fiamme, quel fumo che avvolgeva la campagna, il riferirsi a quegli animali sventurati come a "capi" da abbattere al più presto.
Povere creature inermi e infelici vittime della nostra arroganza, del nostro senso di onnipotenza, in balia della freddezza umana come fragili navi in un mare ostile.