sabato 26 novembre 2011

La Chiesa e gli animali, quale compassione?

Come ricorderete lo scorso agosto il Papa si è recato a Madrid per le giornate della gioventù organizzate dalla Chiesa. Io credo che potrebbe essere importante se il Papa, in quanto capo di una religione con milioni di fedeli, spendesse qualche parola sulla questione animale. Soprattutto in un paese come la Spagna, in cui proliferano le crudeltà nei confronti degli animali, barbarie travestite come sempre da tradizioni e patrimonio culturale. Penso naturalmente al vergognoso "spettacolo" della corrida, e alle molte "feste" che in varie regioni spagnole coinvolgono animali, tori, ma non solo, sottoponendoli a orrende crudeltà.
O ancora, che dire delle condizioni dei cani nelle perreras, canili lager dove i randagi vengono sistematicamente soppressi dopo pochi giorni dal loro arrivo, o del miserevole destino dei galgos, i dolcissimi levrieri spagnoli, che spesso, soprattutto nelle regioni più remote della Spagna, una volta terminata la stagione di caccia vengono uccisi nei modi più orribili dai loro padroni?
Penso che il Papa, quale massimo esponente di una Chiesa che predica la fratellanza, la compassione e l'amore, o che dovrebbe farlo, avrebbe il dovere di parlare di tutto questo e cercare, per quanto possibile, di sensibilizzare la gente sulla sofferenza inflitta agli animali, cercando di piantare nel cuore dei giovani, e di tutti, il prezioso seme della zoofilia, che è certamente un aspetto dell'amore.
Per quanto mi riguarda, non sono assolutamente credente, ma apprezzerei un impegno in questo senso.
La Spagna sarebbe stato un luogo purtroppo perfetto per iniziare un discorso del genere. Naturalmente gli animali soffrono in ogni paese del mondo, subendo di continuo cose orribili, spesso, tra l'altro, in modo del tutto legale.
Come mai la Chiesa non spende una parola per condannare la vivisezione, gli allevamenti intensivi, l'abbandono e la crudeltà, fenomeni che coinvolgono milioni di animali? Non dovrebbero essere anche loro, nell'ottica cristiana, creature di Dio, come era per San Francesco, uno dei pochi santi zoofili?
La sacralità della vita predicata dalla Chiesa, com'è che si applica soltanto agli esseri umani? O ancora, che ne è del comandamento non uccidere, quando si parla degli animali?
Forse la risposta sta nella Genesi, quando si afferma che l'Uomo dominerà tutti gli altri esseri viventi.

(Dio) li benedisse con queste parole:
"Siate fecondi, diventate numerosi, popolate la terra.
Governatela, e dominate sui pesci del mare,
sugli uccelli del cielo
e su tutti gli animali
che si muovono sulla terra"

Genesi, I 28

E' in questo piccolo passaggio, probabilmente, che è da ricercare la scissione apparentemente insanabile tra umani e non umani, è da questa concezione antropocentrica che sono derivati i soprusi e le crudeltà inflitte per divertimento, o per ingordigia, o mascherate da necessità, o ancora per abitudine.
Per la Chiesa, ancora oggi, l'Uomo si pone nettamente al di sopra degli altri animali.
Sarebbe tempo di ripensare a questo modo di vedere le cose, per la Chiesa come per la società laica, e di incamminarsi sulla strada tracciata da Francesco d'Assisi, che includeva nel cerchio della compassione tutti gli animali, i nostri indifesi fratelli minori.


lunedì 21 novembre 2011

Di un mattino nebbioso e di topolini perduti

Questa mattina ero in treno di ritorno a Milano. La nebbia rendeva misteriosi i campi là fuori, dove lasciavo vagare il mio sguardo, affascinata da quel paesaggio indistinto.
Poi ho gettato un'occhiata ai fogli che la mia vicina stava leggendo. Inizialmente non ci ho badato più di tanto, era un resoconto, o un verbale, probabilmente di qualche società. Ma poi, dando un'altra occhiata (è vero, amo curiosare in quello che leggono i miei vicini di treno), ho visto che si trattava piuttosto di qualcosa che aveva a che fare con la medicina e, leggendo un altro po', con la sperimentazione animale.
Cosa che mi ha fatta sentire come se quella nebbia serpeggiante nella campagna mi si fosse stretta intorno al cuore. 
                                                  Animali utilizzati: 126
                                     Animali provenienti dallo stabulario  di...
                                               Descrizione manipolazioni
                                                    Interventi chirurgici
                                                       Inoculazione
                                               Metodo di soppressione
                                          Modello topo...(seguiva una sigla)
                                             Al quinto giorno verranno soppressi

Alcune delle parole che spiccavano crudeli da quelle pagine e che si sono arpionate nel mio cervello, a ricordarmi la terribile realtà della sperimentazione animale, che si consuma ogni giorno, ben lontana dai nostri occhi, sotto la guida di stimati professori, come la dottoressa che, a quanto leggevo, aveva condotto quell'esperimento. 
Quei piccoli topi, nati in uno stabulario (che brutta parola, anche questa) per essere trasferiti in un laboratorio dove essere sacrificati dopo "manipolazioni" e "inoculazioni", mi sono rimasti in mente a lungo. Anche ora ci penso, e so che si sono aggiunti per sempre a tutti quegli animali perduti che già popolano spesso i miei pensieri.





                                    

mercoledì 9 novembre 2011

Dell'abitudine alla noncuranza

Mi capita spesso di pensare alla noncuranza con cui conviviamo con lo sfruttamento degli animali. Come ho già avuto modo di scrivere, pare che sia qualcosa di ineluttabile, una di quelle cose che sono sempre state così, e dunque semplicemente normali.
Nella nostra società è normale trovare nei negozi di alimentari pezzi di corpi animali, confezionati nelle classiche vaschette bianche chiuse dal cellophane. Dalle fettine agli spiedini, ai corpi spellati e privati della testa di quelli che fino a poco tempo prima erano dei conigli, alle cosce di pollo, fino addirittura al fegato o al cervello magari di un vitellino. E poi naturalmente tutti i salumi, che non fanno impressione neanche un po', eccetto probabilmente la lingua, e che quindi si mangiano con ancor più noncuranza del resto della carne. E poi il banco del pesce, con tutti quei piccoli occhi tondi ormai ciechi, o i sacchetti di rete con le cozze ancora vive, nascoste nel loro guscio nero.
Fin da bambini, quando la mamma ci portava al supermercato, abbiamo imparato la noncuranza dalla noncuranza degli adulti intorno a noi. Soltanto crescendo, oppure grazie alla nostra sensibilità, alcuni di noi sentono che tutto ciò non è affatto normale, che una società che uccide sistematicamente degli esseri viventi per cibarsi della loro carne, esponendo sugli scaffali quelli che in definitiva sono pezzi di cadaveri, è una società con una forte componente di indifferenza e di crudeltà mascherata da abitudine o da tradizione. Una società profondamente specista.
Stesso discorso per gli abiti, le scarpe, e tutti i manufatti confezionati con la pelle degli animali, o con la loro pelliccia. Oggetti che sono praticamente ovunque, spesso considerati particolarmente pregiati, a cui siamo abituati fin da piccoli, e dunque che si travestono di normalità.
Occorrerebbe, secondo me, parlare ai bambini del modo in cui trattiamo gli animali, senza omettere neanche il più triste particolare. Soltanto così ci sarebbe forse una possibilità di costruire un mondo migliore per gli animali non umani. Solo facendo conoscere ai più piccoli quegli esseri che la maggior parte dei bambini incontra soltanto sotto forma di cibo, ci sarebbe la speranza che le nuove generazioni riescano a sviluppare una coscienza nuova e piano piano ad affermarla.
In quanto agli adulti, a coloro che nella noncuranza verso la sofferenza degli animali sono cresciuti preferendo non porsi mai troppe domande, non è troppo tardi per cominciare a guardare il mondo da un punto di vista un pochino diverso. Per alcuni può accadere in modo improvviso, dopo aver assistito ad un episodio che ha smosso qualcosa nella coscienza, o dopo aver appreso di qualche atrocità commessa in un allevamento, o in un macello. Per altri può essere un cammino più lungo e graduale. Io credo, per quella che è la mia esperienza diretta, che nella maggior parte delle persone vi sia una certa quantità di empatia e di compassione per gli animali, soltanto che sono sentimenti poco coltivati e soffocati spesso dalla noncuranza generalizzata. Solo lasciandoli emergere riusciremo ad affrancarci dal nostro specismo e a guardare agli animali con uno sguardo finalmente nuovo.