venerdì 19 giugno 2015

Vite parallele: commento ad un'immagine



Da "Incontri mantovani", di Gianni Berengo Gardin



Ho trovato questa fotografia in un libro del fotografo Gianni Berengo Gardin.
Si trova verso la fine del libro, che raccoglie una serie di immagini su Mantova e la sua gente.
I miei occhi scorrevano le fotografie, apprezzandone la costruzione, l'armonia, l'innegabile talento di quest'uomo che ha saputo cogliere momenti apparentemente banali, di vita quotidiana, e renderli arte.
Poi sono arrivata a quest'immagine, e mi ci sono fermata.
Me ne è tornata in mente un'altra, in un altro libro di fotografia, scattata in un macello, e ricordo bene che mi faceva talmente male quella foto che incollai la pagina a quella precedente, per non vederla più.
Per cancellare, almeno lì, pur se in modo effimero e quasi infantile, l'orrore di quei non luoghi dove si perdono migliaia e migliaia di vite.

Questa fotografia qui, a prima vista, non rappresenta l'orrore, a differenza di quell'altra.
Questa non è esplicita. Non c'è sangue, non c'è violenza apparente.
Ad altri occhi potrebbe persino apparire simpatica.
Un vecchio signore con l'aria di saperla lunga che osserva quasi amichevolmente il maiale, che ricambia il suo sguardo.
I miei occhi, però, notano altro.
La netta somiglianza della porcilaia con un campo di concentramento, o con un carcere della peggior specie. L'angusto spazio all'aperto riservato ai maiali. Lo sguardo di queste bestie, lo sguardo di chi sente ciò che lo aspetta.

Questa la cornice. Gli occhi vengono attratti però dai due protagonisti, l'uomo e il maiale che si guardano l'un l'altro.
L'uomo è un anziano dall'aria innocua, che ci si potrebbe immaginare in un bar a giocare a carte con gli amici, o in piazzetta a chiacchierare seduto su una panchina.
Guarda il maiale con aria quasi amichevole, quasi simpatica, come dicevo più sopra, come uno che la sa lunga. Che ha confidenza con questi animali.
Sembra che tra lui e l'animale sia in corso un dialogo silenzioso.

Maiale: "Dunque è che finiremo, non è vero?".
Uomo: "E' inevitabile, amico mio, così vanno le cose. Così vanno le cose da sempre".
Maiale: "L'ho sempre saputo, credo".
Uomo: "E' il corso delle cose, amico mio. Inutile pensarci troppo. Questo è il vostro ruolo nella società, nel territorio, capisci. Non c'è niente di personale. Se fossi nato maiale sarei al tuo posto, e se tu fossi nato uomo saresti al mio. Tutto qui".

Questo ciò che a me fa pensare questa immagine. Qui sotto invece la didascalia che la accompagna nel libro, che ci racconta di questo signore e dell'allevamento dei maiali in questa regione:

" Nel Mantovano ogni anno vengono allevati un milione e mezzo di maiali che forniscono la preziosa materia prima per i divini prosciutti crudi. I maiali (...) producono denaro e lavoro. A Mantova la ricchezza o si stagiona o si affetta.
Questa filiera è tanto archetipa (i progenitori etrusco padani allevavano e commerciavano i maiali con la Grecia di Pericle) da aver saldato gli uomini alle bestie. Vite parallele.
E chi fa il mediatore, che è il sensale in italiano levigato, è il talent scout dei suini.
Parla con loro. Parla di loro, li contratta a camionate, sa individuarne a occhio peso e qualità.
E' un mantuan broker, passa con leggerezza dalla porcilaia alla borsa di Largo Pradella, che è la Wall Street della zootecnica (...)".

Ogni commento mi sembra superfluo, finirei col dire cose già dette e ridette, tante volte.
In fondo basta guardare quella foto, soffermarcisi un attimo.
Vite parallele, sì.
Quella di un burattinaio dall'aria innocua, e quelle, innumerevoli e sconosciute, di migliaia di individui che non possono rompere i fili con cui il vecchio signore e un intero sistema li tengono avvinti e li manovrano, dalla nascita alla morte.











mercoledì 17 giugno 2015

La rubrica di Basilio lo shih tzu, nr.1






Carta d'identità:

NOME: Lushi-Kou, ribattezzato Basilio

DATA DI NASCITA: 15 dicembre 2013

LUOGO DI NASCITA: Graglia, Piemonte

LUOGO DI RESIDENZA: Milano

SEGNI PARTICOLARI: capellone, solare, e ghiottone ai limiti dell'indecenza

SPORT PREFERITI: pallina, assalti di baci alle persone che amo, danza del biscotto

CIBO PREFERITO: tutto ciò che è commestibile, con una preferenza per pane, mela, e pan brioche

HOBBY: appropriarmi di pantofole, calze, e infradito; masticare palline di polistirolo quando mi capitano a tiro; rimediare cibo extra dai miei umani; regalare sorrisi

MI PIACE: mangiare, dormire, giocare con i miei pupazzi e la mia collezione di palline, saltellare dopo il bagno, la passeggiata mattutina, andare in treno e in auto, incontrare altri animali e fare amicizia, rientrare a casa

NON MI PIACE: i rombi delle moto e delle auto sportive per la strada, essere lasciato a casa da solo, le sedute con il pettine, i camion dell'AMSA (azienda milanese servizi ambientali), quando mi rimane la cacca attaccata al sedere (sigh!)

IL MIO MOTTO: sii zen e tutto andrà bene

martedì 2 giugno 2015

Per l'ippopotamo la piscina è sempre troppo piccola





Nel post precedente ho condiviso un video su un piccolo gorilla nato recentemente nello zoo di Basilea in Svizzera.
Non l'ho fatto per glorificare lo zoo, ma semplicemente perché, a prescindere da qualsiasi altra considerazione, è un video molto bello e molto tenero, che mi aveva davvero commossa.
Vedendo quelle immagini mi era venuto spontaneo scrivere che, malgrado tutto, forse quella famiglia di gorilla non se la passa poi tanto male, pur dovendo vivere appunto in uno zoo. Più che altro è ciò che spero per loro.
Forse perché rimango una sognatrice. E perché, di conseguenza, mi piace poter pensare che ci possa essere un po' di felicità anche in uno zoo. Può essere che se ci andassi di persona mi ricrederei in breve tempo, anzi, ne sono quasi sicura. Ma quelle immagini serene mi hanno dato per un momento una piccola speranza, tutto qui.
Comunque, questa frase in particolare ha suscitato le critiche di Rita, mia lettrice, che mi ha subito ricordato come la detenzione di gorilla e altri animali non sia assolutamente accettabile, se ci si dice dalla parte degli animali.
E che avere posizioni tiepide, intermedie, significa fondamentalmente tollerare lo sfruttamento di queste bestie.

Dunque, alla fin fine, che cosa penso io degli zoo?

Questi luoghi non mi sono mai piaciuti, neanche da bambina, e peraltro mi ci avranno portata magari una volta, forse a quello itinerante del circo, ma non ne sono sicura. Già allora comunque non mi piaceva vedere animali esibiti e chiusi in gabbie o recinti.
A sedici anni poi andai con la mia classe di prima liceo proprio allo zoo di Basilea, se la memoria non mi inganna. Tra l'altro forse eravamo un po' cresciuti per la classica visita allo zoo, ma vabbè.
Io dovevo occuparmi di fare le foto, e così feci.
Ce le ho ancora, nella loro busta del laboratorio. Si era sul finire degli anni '90 e il digitale non era ancora esploso, si scattava ancora in pellicola.
In generale ricavai da quella visita una sensazione di tristezza. Soprattutto, ricordo, mi fece molto male vedere i lupi, i leoni, e gli orsi. Animali fieri, nati per spostarsi nella savana, o tra gli alberi delle foreste, costretti in quei piccoli spazi, dietro le sbarre.
Posso ancora accettare le caprette,  per dire, che probabilmente stanno pure discretamente in un bell'habitat costruito su misura per loro. Certo, essere costantemente osservate da visitatori umani probabilmente non é elettrizzante nemmeno per loro, ma almeno questo tipo di animale vive da tempo immemorabile a contatto con la nostra specie, nel bene e nel male.
Questo non si può dire, chiaramente, per gli animali selvatici, autoctoni o esotici che siano.
Proprio perché di natura inaccessibili, abbiamo pensato bene di catturarli e rinchiuderli, con la motivazione di poterli in tal modo osservare e conoscere.
Ancora oggi sento persone dire, gli zoo sono utili perché così i bambini possono vedere gli animali da vicino. Che mi sembra un pensiero da '800, per dire, ma sono in parecchi a pensarla così.
In realtà la visita allo zoo non ha niente di educativo, per un bambino, a mio modo di vedere.
Tutt'altro. Gli si insegna che è lecito tenere gli animali in gabbia, e rafforza quell'idea di dominio sulle altre specie che già serpeggia in tanti aspetti della nostra società.
Dovremmo piuttosto considerare che esporre un essere vivente alla curiosità della gente è una cosa profondamente irrispettosa.
Ma se pensiamo che in un tempo neanche così lontano si esponevano anche i cosiddetti fenomeni da baraccone, capiamo bene come l'Uomo non si faccia troppi scrupoli a fare la stessa cosa con individui che non appartengono neanche alla nostra specie. Purtroppo.
Quindi, per me gli zoo andrebbero chiusi. Punto. Cerchiamo piuttosto di garantire una vita degna agli animali selvatici nel loro habitat, se davvero ci stanno a cuore. Prendo in prestito una frase di Salvini, che in questo contesto mi torna utile (e non avrei mai pensato che una sua frase mi potesse essere di qualche utilità), ovvero: aiutiamoli a casa loro. Ecco, per questi animali sarebbe la cosa migliore.
I bambini che si guardino un documentario, almeno vedrebbero i veri comportamenti degli animali selvatici, e non quelli indotti dal tedio prodotto dalla detenzione e dalla scarsità di stimoli.

Alcuni zoo hanno un'apparenza dorata, come quello di Basilea. Ma investigazioni condotte in Europa, anche in giardini zoologici considerati all'avanguardia, dimostrano che alla fin fine la prigionia gli animali la accusano sempre.
Per non parlare dello scherno riservato loro da  alcuni visitatori particolarmente insensibili e buzzurri. Che magari gli animali non se ne rendono conto, ma io la trovo una cosa gravissima.
Poi ci sono zoo particolarmente squallidi, che ti si stringe il cuore al solo pensarci, e questo è il massimo del degrado per le povere bestie che hanno la sventura di esserci finite, o di esservi nate.
Mi viene in mente a questo proposito un'immagine televisiva che vidi ormai diversi anni fa, al tempo dell'inizio della guerra in Afghanistan. Un vecchio leone cieco nella sua gabbia allo zoo di Kabul.
Se ne stava là, rassegnato, in quel mondo grigio assediato dalla guerra.
Delle volte mi torna in mente, e mi chiedo che ne sarà stato di lui, e dei suoi compagni di sventura, ed è un ricordo che mi riempie di tristezza.



Termino lasciandovi un link a delle fotografie realizzate dalla brava fotografa Sara Munari negli zoo europei, qui. Un bel lavoro che non può che farci riflettere ulteriormente su questo tema.





Nota: il titolo di questo post l'ho preso dal libro Zoo di Bruno Munari.
Le illustrazioni sono di questo suo libro.