Sei entrato nelle nostre vite diciotto anni fa, un piccolo micio bianco e grigio con la pancia tonda e a "pois". Io veramente avrei preferito un cane, ma dato che in famiglia non ne volevano, sei arrivato invece tu. Non avevo mai provato una particolare simpatia per i gatti, se devo essere sincera, ma grazie a te mi sono ricreduta subito su molte cose.
Mi vengono in mente tanti ricordi, che faranno sempre parte della mia memoria.
Tu piccoletto che entri nella gabbia dei porcellini d'India; la tua prima uscita e l'incontro con il pastore tedesco dei vicini e la fuga sull'albero; le scorribande della tua giovinezza, quando sparivi per ore, da solo o con qualche tuo compare, e di quanto io mi preoccupavo sempre e come ero felice quando infine ricomparivi, come se niente fosse, in fondo al viale; quando ti avvinghiavi all'albero di Natale con mia somma disperazione; di quando facevi il giro del divano, stando sdraiato sulla schiena e spingendoti con le zampe lungo tutto il perimetro del povero sofà; quando ti abbiamo lasciato alle cure della nonna ed è finita che hai trascorso ore fuori, nascosto da qualche parte, mentre si scatenava una tempesta estiva (vatti a fidare delle nonne); quando ti sei scottato i polpastrelli saltando sulla stufa; quando sei tornato con le zampe piene di catrame che a pulirle è stato pazzesco; quella volta, verso Natale, che hai portato a casa un rametto di pino preso da qualche parte; come volevi bene a mia mamma, che era la tua persona preferita, e anche a mia zia, che le somiglia tanto che per te erano quasi la stessa "padrona"; il tuo amore-odio per Freud, il gamaldo gatto dei vicini.
E poi il Tempo, che tutto porta via con sé, è trascorso rapido, e da gatto più giovane del vicinato sei divenuto il più vecchio.
Il mio gatto venerando, come ti chiamavo ultimamente.
Dormivi tanto, sul tuo cuscino, oppure sul mio letto, sul piumone. E quando eri sveglio spesso mi pareva che guardassi già altrove, in quel luogo invisibile a cui tutti siamo destinati.
Sentivo che stavi scivolando via, piano piano, che il tuo corpo si preparava a lasciare andare la tua anima gattesca.
Osservavo i tuoi movimenti rallentati, la fatica che facevi a metterti in piedi o a girarti sul cuscino, i ciuffetti di pelo che ti strappavi, la magrezza del tuo corpo, e pensavo, è giusto che tra un po' tu te ne vada, che la tua anima sia libera.
Il ricordo più recente è Basilio lo shih tzu che ti segue come un'ombra, interessatissimo, il naso sul tuo sedere.
Che cosa pensavi, Hitch, di quello strano essere capellone che ogni tanto si installava a casa tua per qualche giorno? A me pareva che lo ignorassi, o al massimo lo osservavi brevemente con quell'aria di sufficienza tipica dei gatti. Il tuo sguardo era ormai troppo rivolto all'altrove per provare un interesse per Basi, che, socievole e solare com'è, avrebbe dato qualsiasi cosa per avere un briciolo della tua attenzione.
E poi mi ricordo, nel weekend di Pasqua, che ero lì, e stavo seduta al sole sul pavimento davanti alla porta finestra, che mi sei venuto vicino, fragile, che non sapevo più come prenderti in braccio ormai, e mi hai dato un leggero buffetto con la testa. Era da tanto che non lo facevi.
Ora che sei scivolato in quell'altrove, so che stai bene.
Il tuo malconcio corpo terreno non ti serve più, lì dove sei.
E noi, i tuoi umani, noi ce la caveremo, Hitch. Il vuoto che hai lasciato, immenso, si colmerà piano piano di tutti i ricordi di questi diciotto anni, e le lacrime di questi primi giorni lasceranno il posto ad una dolce nostalgia.
Ciao Hitch, mio gatto venerando, buon viaggio
Poco tempo fa, insieme a mia mamma |