Ieri nel tardo pomeriggio accendiamo la TV e la prima cosa che vedo è il promo di una trasmissione sulla televisione svizzera di un'inchiesta dal titolo: "Esiste ancora il capretto nostrano?".
Con carrellata su un gruppo di candidi capretti che, ignari del loro assurdo, terribile destino, osservavano curiosi nella telecamera. Tutti con il proprio cartellino giallo piantato nell'orecchio, quel marchio che ti riduce ad una merce, nostrana, non nostrana, bio o non bio, sempre una merce, e che nega quindi il tuo essere un individuo con il diritto di vivere la propria esistenza.
Suppongo che quei capretti a quest'ora saranno già stati uccisi.
Se c'è una cosa che mi fa particolarmente arrabbiare sono le trasmissioni con questo taglio. Ovvero quei programmi dedicati ai consumatori che non mettono minimamente in discussione l'abitudine di mangiare animali. Si preoccupano solo di indagare se la carne che finisce nei nostri piatti sia di prima qualità, possibilmente nostrana e proveniente da animali allevati bio nelle fattorie dei dintorni.
Io trovo questo approccio totalmente irrispettoso nei confronti di tutti gli animali uccisi per essere mangiati.
Naturalmente questi programmi sono anch'essi figli della nostra radicata cultura specista.
E anche quando, per esempio, denunciano condizioni di allevamento particolarmente brutte, ho l'impressione che lo facciano per lo più pensando ai consumatori. Cioè, si preoccupano delle ripercussioni che il trattamento riservato a questi poveri animali può avere sulla salute umana, per questo ne parlano.
Ovvero, gli animali devono essere tenuti bene perché poi finiranno nel nostro piatto e noi non vogliamo mangiare carne contenente antibiotici o altre sostanze strane, o proveniente da organismi malati. Ma in fondo del destino di queste bestie non gliene importa nulla. Non si mette minimamente in discussione il fatto che vengano allevate per essere uccise.
Altro messaggio che passa in questo tipo di trasmissioni è dunque una sorta di benevolenza ipocrita nei confronti degli animali. Si dice che sì, devono essere tenuti bene, nel famoso rispetto della specie. Ma lo si dice soprattutto per eliminare gli eventuali, vaghi, sensi di colpa dei telespettatori carnivori.
Continuate a mangiare gli animali, questi sono bio, la carne bio fa bene. E poi hanno vissuto felici, non sentitevi in colpa.
Sul fatto che la parola rispetto non vada molto d'accordo con la parola uccisione, si preferisce non riflettere.
Tutto ciò non fa che rinforzare il nostro sentirci legittimati a sfruttare gli animali a scopo alimentare. Sarebbe bello che ci fosse in queste trasmissioni almeno un ospite davvero dalla loro parte, che piazzasse una bella pulce etica nell'orecchio dei consumatori.
Invece, sostanzialmente, si elogia il bio, che sembra che in un colpo solo spazzi via non solo le preoccupazioni salutistiche, ma anche quelle etiche.
A ciò aggiungiamo il revival dei prodotti del territorio (contro i quali non ho niente, finché si tratta di frutta, verdura, e altri prodotti inanimati, ma non quando si includono in questa categoria gli animali, esseri viventi), particolarmente in voga, e il conseguente attaccamento alle tradizioni culinarie, molte delle quali prevedono la carne come ingrediente.
Sembra, tutto questo, una gigantesca ruota che continua a girare, a girare, ineluttabile, portando avanti tradizioni, abitudini, sfruttamento, e mietendo milioni di vite ogni giorno, sotto i nostri occhi disinteressati.
Non so se si riuscirà mai a fermare questa ruota.
Penso che si potrebbe cominciare con il bandire certe consuetudini, come l'uccisione di cuccioli, quali sono gli agnellini e i capretti, ma anche i vitellini, i maialini, e qualsiasi animale "bambino".
E promuovere pranzi etici per le varie festività, come Natale o Pasqua.
Sarebbero piccoli passi, può darsi, ma secondo me sarebbero importanti e chissà che quella terribile, gigantesca ruota, inizierebbe a sgretolarsi.
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